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lunedì, Settembre 16, 2024
Altri sport

E’ scappato, per sempre

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Raccontare questo campione, far capire chi è stato veramente e cosa ha rappresentato per lo sport non sarà affatto semplice né cosa da poco. Cercherò in ogni maniera, e mi impegnerò al massimo, per poter far entrare Marco Pantani dentro di voi. Marco Pantani è stato un uomo, un grande uomo. Non so se usare il verbo al passato sia davvero corretto, perché Marco è presente, sempre, come se facesse parte del nostro mondo sportivo (e non) ancora oggi. Se pensi a un campione pensi a Pantani, se parli di ciclismo parli di Pantani, se parli di storia dello sport scrivi Pantani, se ti entusiasmi perché hai visto in una salita scappare via un pirata su due ruote come a dire “io me ne vo”, lo fai perché è Pantani. Certo è, che Marco nessuno mai lo dimenticherà, sia per le imprese storiche che ha compiuto e che abbiamo avuto la fortuna di ammirare nella sua specialità, il ciclismo su strada, sia perché era una persona semplice, alla mano, era uno di noi, della gente, del popolo. Calda e sincera la sua Cesena che lo abbraccia nel 1970 per la prima volta, una città che non sapeva ancora avesse accolto un campione capace di vincere il Giro d’Italia e il Tour de France ventotto anni dopo, nel 1998. Si cari amici, entrambi nello stesso anno come a pochi è successo nella storia. Il merito, e per questo gliene saremo eternamente grati, è da attribuire al nonno Sotero, che, fra una cacciata ed una pescata del nipote, vede in lui delle doti da scalatore non indifferenti e quindi pensa bene di regalargli una bella bicicletta che porta subito grandi frutti, soddisfazioni e vittorie epiche anche da giovanissimo. Non è mai stato fortunato Marco, nella sua carriera ebbe diversi infortuni, emblematica infatti fu la sua frase nel 1997 al Giro d’Italia dopo l’ennesima caduta, nella discesa del valico di Chiunzi in sella ad una “Mercatone uno” quando gli attraversò un gatto <Avrei voluto essere battuto dagli avversari, invece ancora una volta mi ha sconfitto la sfortuna>. Nonostante questo Pantani rimane sempre in prima linea, si mette ancora una volta alle spalle la sfortuna perché sa di quale talento è dotato e sa di non poterlo sprecare; ora vuole dimostrarlo a tutto il mondo, ma ancora di più a se stesso. Nel 1998 infatti riporta a casa Giro e Tour, battendo il rivale russo Pavel Tonkov in Italia, ed il tedesco Jan Ullrich in Francia. Non immaginate nemmeno cosa significhi per un corridore a tappe vincere queste due corse, le più importanti al mondo, quelle per cui ci si allena duro per strada e si rischia la vita ogni volta. Ma purtroppo per il mondo del ciclismo e dello sport tutto, quello è stato soltanto l’inizio di una discesa che mai avremmo voluto ricordare a noi stessi e raccontare a coloro che non hanno avuto la fortuna di ammirare le gesta di uno sportivo immenso e di un uomo dal cuore grande. Sto scrivendo parole che spero possano rendere omaggio ma soprattutto giustizia non solo a Marco Pantani, ma anche a coloro che lo conoscono e gli vogliono bene, penso specialmente ai genitori, alla sorella e agli amici di una vita. A loro chiedo scusa se dimentico anche solo una virgola, a loro chiedo scusa se dimentico un pensiero. Loro che sicuramente hanno ancora le scarpe pieni di sassi, il cuore straziato, e la testa che non troverà mai pace. Da tifoso e appassionato di sport non riesco proprio a concepire come alcune situazioni non possano essere prima di tutto contestualizzate, poi approfondite e non trattate con superficialità come è poi successo nella realtà dei fatti. Lo sport è una cosa seria, non è un passatempo; dentro a quel mondo ci sono sentimenti veri, emozioni forti, gioie immense e storie da raccontare.

Pantani difende il titolo nel 1999 dopo aver vinto il Giro d’Italia l’anno prima, ma il sogno si spezza il 5 giugno a Madonna di Campiglio (21esima tappa), dopo che è da sette frazioni il leader della corsa e aveva un vantaggio di 5 minuti e 38 secondi su Paolo Savoldelli, una vita praticamente. E’ una tappa che avrebbe sicuramente visto il Pirata protagonista perché rispecchia le sue caratteristiche e favorisce le sue qualità e doti di scalatore puro, e che avrebbe sancito la vittoria finale di Marco. Invece alle 10.10 di quella mattina vengono resi pubblici i risultati dei controlli effettuati dai medici dell’UCI (Union Cycliste Internationale). Viene riscontrato nel sangue di Pantani una concentrazione di globuli rossi più alta di quella consentita. Il valore di ematocrito rilevato è infatti di quasi il 52%, oltre il margine di tolleranza dell’1% rispetto al limite massimo da regolamento. Viene quindi sospeso per 15 giorni, con la conseguente esclusione immediata dal Giro poi vinto da Ivan Gotti. A questa notizia la squadra del Pirata, la Mercatone Uno-Bianchi, si ritira dalla corsa e Paolo Savoldelli, nonostante fosse subentrato di conseguenza al primo posto provvisorio in classifica, rifiuta di indossare la maglia rosa, rischiando anche una squalifica. Non si tratta di doping, è un controllo del sangue voluto dai ciclisti due anni prima per una maggiore tutela della propria salute, test che dall’inizio del giro venivano fatti periodicamente e che potevano essere richiesti sia dal CONI che dalla federazione ciclistica italiana (facoltativi) e dall’UCI (obbligatori). Pantani cade nello sconforto più totale e dichiarandosi sempre innocente, accusa gli organi competenti di non essere stato controllato in maniera corretta. Le uniche contro-analisi ufficiali svolte sono quelle fatte dalla stessa campionatura di sangue prelevata a Madonna di Campiglio, infatti non viene svolto nessun altro prelievo ufficiale a Pantani, fatto grave anche perché di regola i ciclisti possono scegliere la provetta dove farsi prelevare il sangue e dove poi andrà ad unirsi un anticoagulante (che forse non c’era) che appunto eviti al sangue di coagularsi prima di essere analizzato. Purtroppo molti della stampa e alcuni suoi amici (o presunti tali) vicini al mondo dello sport hanno storto il naso di fronte a questa vicenda voltandogli le spalle e non provando a concedergli nemmeno il beneficio del dubbio. Ovviamente i giornalisti riportano i fatti accaduti ma, chiaramente non tutti, emettono già la sentenza, il verdetto: Pantani è un dopato, ha vinto perché ha alterato i suoi valori per ottenere prestazioni più vantaggiose. La Mercatone Uno, la sua squadra, come faceva sempre con i propri tesserati il venerdì 4 (il giorno prima di Madonna di Campiglio) fa lo stesso esame dando un esito regolare, ematocrito al 48%, stesso identico risultato che ottenne ad Imola il sabato pomeriggio di ritorno dalla penultima tappa, da quella tappa che avrebbe visto consacrare per la seconda volta Pantani come vincitore del Giro d’Italia. Stranamente il sabato mattina prima della corsa, cioè nel mezzo di questi due esami, il valore dell’ematocrito di Marco è superiore come tutti noi ormai sappiamo. Cominciano già i misteri di una vicenda travagliata sul nascere, dove purtroppo molti si schierano parlando a casaccio senza nemmeno conoscere i fatti. Pantani cade in depressione, si sente privato di qualcosa che si era guadagnato con la fatica, con il sudore, e tutti i suoi sacrifici fatti fino a quel momento li vede svanire, lui stesso dice sempre quel giorno, scortato dai carabinieri come se fosse il peggior delinquente, <mi sono rialzato dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre, ma questa volta, però, abbiamo toccato il fondo. Rialzarsi sarà per me molto difficile>. Ecco, queste parole fanno ben capire quanto fosse stanco di tutta la sfortuna subita in tutta la sua carriera, e che davanti a un complotto di certo non sarebbe riuscito a venirne fuori, sarebbe stato veramente troppo. Riabilitato professionalmente dopo aver superato a Losanna come da prassi gli stessi controlli dell’UCI fatti nella 20esima tappa, Pantani decide di non partecipare al Tour de France e cade nel pericoloso vortice della cocaina. Aiutato dalla famiglia, specie dalla mamma Tonina che porta avanti con coraggio battaglie giudiziarie per rendere giustizia al figlio, Marco si ripulisce e torna in sella nel 2000 partecipando a entrambe le grandi corse. Purtroppo i risultati sono sotto la sufficienza, infatti la condizione psicologica di Marco era più che compromessa, più di quella fisica dovuta ad una preparazione chiaramente insufficiente. Quell’anno è addirittura l’ultima timbratura alla corsa francese, non viene invitato più anche alla luce delle sue prestazioni piuttosto opache. E’ stanco Marco, non riesce a darsi pace, queste che lui chiama ingiustizie lo portano alla deriva, alla depressione più totale. Il 21 giugno 2003 Pantani entra nella clinica “Parco dei Tigli” di Teolo in Veneto, specializzata nella cura della depressione e della dipendenza da alcol, uscendo ai primi di luglio per continuare le cure con i medici personali. Se ne va per sempre tristemente l’anno dopo, il 14 febbraio del 2004, una botta clamorosa per il mondo dello sport, soprattutto per il ciclismo. E’ stato trovato morto nella stanza D5 del residence “Le Rose” a Rimini. L’autopsia rivela che la morte è stata causata fra le 11:30 e le 12:30 da un edema polmonare e cerebrale conseguente a un’overdose di cocaina e, secondo una perizia effettuata in seguito, anche da psicofarmaci. Molte voci parlano addirittura di camorra, la quale con le mani sopra le scommesse sportive, “invitavano” a puntare sulla Waterloo di Pantani, come scrive dal carcere nella sua autobiografia nel ’99, il quattro volte condannato all’ergastolo Renato Vallanzasca. Di certo possiamo credere alle parole della mamma Tonina, la quale è certa che senza Madonna di Campiglio non ci sarebbe stato nemmeno Rimini, e Marco avrebbe potuto ancora emozionare sopra l’asfalto di tutto il mondo. Troppe cose strane attorno a questa vicenda a partire dalle analisi iniziali fino a quel residence con le telecamere spente e un affollamento di persone ingiustificato, cibo cinese che Pantani detestava, lividi sul suo corpo e purtroppo molto altro ancora. Ora credo sia inutile stare qui a fare processi, voglio solo nel mio piccolo rendere omaggio e giustizia ad un campione fragile al quale la vita non ha scontato proprio un bel nulla. Non so se mai uscirà fuori la verità di tutta questa maledetta e triste vicenda, è giusto però ricordare per quelli che come me amano lo sport e i loro maggiori interpreti, cosa è stato Marco Pantani e cosa lo ha fermato. Lui amava la gente, quella che incontrava per strada e che gli dava forza e l’energia per andare forte in salita. Diceva <vado così forte in salita per abbreviare la mia agonia>, che spettacolo che è Marco. Le sue origini da gregario rendono la sua storia ancora più affascinante, come a far capire che partire dal basso non è poi così male. La sua storia di sportivo è un po’ come la vita di tutti noi, non è fatta solo di coppe, medaglie e vittorie, ma anche di cadute, delusioni e ingiustizie. Probabilmente è per questo che è riuscito senza bussare a entrare dentro le case e i cuori delle persone. In quegli anni non c’era bisogno di praticare il ciclismo per amarlo, bastava conoscere Marco Pantani.

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