L’ottavo re di Roma
Dovevamo capirlo subito che il 1976 sarebbe stato un anno speciale, epocale, un anno di svolta, rivoluzionario. Fu l’anno in cui due informatici, poco più che ventenni, sconvolsero il futuro della comunicazione fondando la Apple Computer e l’anno in cui nasceva un ragazzo, almeno all’apparenza, normale. Si perché mentre Steven Paul Jobs e il suo amico Steve Wozniak erano delle vere e proprie promesse del settore, nasce a Roma il 26 settembre Francesco Totti, quando ancora nessuno poteva immaginare il campione di calcio che abbiamo avuto la fortuna di ammirare. Un talento senza misura, una classe cristallina, uno dei calciatori italiani più forti di sempre. Francesco è stato questo e tanto altro. La sua passione inizia quando aveva sette anni, e fin da subito si intuiscono le capacità tecniche. Infatti già a dodici anni è pronto per trasferirsi dalla Lodigiani alla Lazio, ma Gildo Giannini, l’allora responsabile del settore giovanile della Roma, decide che il matrimonio che reputava giusto era quello tra Francesco Totti e i giallorossi. Fu così che, una volta convinti i genitori che tanto ama e rispetta, il giovanissimo si trasferisce alla Roma, quella che sappiamo sarà poi la sua seconda pelle. In tre anni con gli allievi vince subito il campionato e poco dopo la coppa Italia con la squadra Primavera prima di essere convocato ed esordire a soli sedici anni nella prima squadra dove gioca il suo idolo Giuseppe Giannini. Fu così che il grande Vujadin Boškov lo gettò nella mischia il 28 marzo del 1993 nei minuti finali di Roma-Brescia, partita vinta per 2 a 0 dai giallorossi. Il suo inserimento da titolare fu graduale quanto scontato viste le qualità e gran parte del merito va dato a mister Carlo Mazzone che vuole assolutamente proteggere Francesco da quel mondo meraviglioso quanto pericoloso che è il calcio. Un talento del genere non può andare sprecato e questo Mazzone lo sapeva bene, in cuor suo si sentiva ovviamente responsabile del ragazzo. Dobbiamo poi aspettare il ’94 per vedere esultare Francesco Totti per la prima volta, esattamente contro il Foggia. La concorrenza era abbastanza spietata in attacco, Balbo e Fonseca erano i titolari di quella Roma, ma Totti comincia a farsi spazio e diventa lui titolare, 4 gol in 21 apparizioni, non male per un diciannovenne.
Gli anni successivi sono anni di maturazione per Francesco, partito Mazzone diventa allenatore della capitale l’argentino Carlos Bianchi il quale non ha un ottimo rapporto con Totti, infatti è pronto lo scambio con il centrocampista offensivo Litmanen allora in forza all’Ajax. Visti però gli scarsi risultati dei giallorossi Bianchi viene esonerato prima e al suo posto come traghettatore arriva una vecchia e gloriosa conoscenza: “il Barone” Nils Erik Liedholm. Così, a soli ventidue anni, Totti diventa il capitano della Roma, capitano di una squadra che sente sua da subito, dove realizzerà tanti dei suoi sogni e molte soddisfazioni a livello personale. Vince uno scudetto con Capello allenatore, è la stagione 2000- 01, con i suoi 13 gol insieme a quelli di Batistuta e Montella portano a casa il tricolore, tifosi in delirio per il trio delle meraviglie. Il ruolo tattico di Totti, la sua posizione in mezzo al campo tanto per capirci, viste le sue capacità tecniche è abbastanza flessibile. Agli inizi veniva impiegato come trequartista, poi invece si è avvicinato di più alla porta come attaccante puro. La sua visione di gioco gli permetteva di giocare bene in qualsiasi ruolo, ha deliziato i suoi tifosi e non solo anche con i suoi assist e le sue aperture per i compagni, sempre puntuali e al bacio. Con Zeman, che reputa uno dei migliori allenatori con il quale ha lavorato, ha ricoperto addirittura un ruolo più esterno. Vincitore di due supercoppe italiane e di due coppe Italia, Francesco Totti corona il sogno più bello e ambito per un calciatore, vincere un mondiale con la propria nazionale. Lo ricordiamo tutti quell’anno, era il famoso 2006 quando “Er pupone” alza l’ex coppa Rimet. Lascia l’indelebile impronta con quel gol segnato su rigore contro l’Australia che ci permette di andare avanti, e più precisamente ai quarti di finale per sfidare l’Ucraina. E chi se lo scorda. Va bene che è un grande rigorista, va bene che è un grande fuoriclasse, ma la tensione era alta, ed era teso pure lui. La sua esplosione di gioia dopo la trasformazione la dice lunga, e come dargli torto. Aveva il peso di un’intera nazione sulle sue spalle, e calciare un pallone da fermo dopo che l’azione è stata interrotta da alcuni minuti causa proteste, è sicuramente più complicato che segnare un gol normale su azione. L’occasione era ghiotta, irripetibile, stavamo arrancando, e questo rendeva tutto maledettamente più difficile a livello mentale, perché un rigore si può pure sbagliare, ma se sbagli questo ti cambia la vita, specie se sei ad un mondiale e quel calcio vale la qualificazione, specie se ti chiami Francesco Totti. La sua classe e lucidità però, hanno sicuramente messo d’accordo tutti, fa gol e passiamo il turno. Quel mondiale vinto è stata però la sua ultima apparizione in maglia azzurra, infatti annuncia il ritiro dalla nazionale dopo 58 presenze e 9 reti, collezionando nel 2000 un secondo posto all’europeo svoltosi nei Paesi Bassi/Belgio.
Ci ricordiamo la meraviglia del cucchiaio che mise a segno durante i rigori della semifinale contro i padroni di casa. La stagione successiva, quella del 2006–2007 continua ad essere gloriosa per Totti, infatti diventa il capocannoniere della serie A con 26 gol, 32 totali in stagione, quanto bastano per vincere la scarpa d’oro. In quell’anno fra l’altro fece un gol strepitoso al volo di mancino, tutto defilato sulla sinistra contro la Sampdoria, al Ferraris. Ancora me lo ricordo l’assist di Cassetti che lanciando per Totti mette la palla in banca. Forse il gol più bello per lui, conteso sicuramente con quello siglato all’Inter, partito da centrocampo si accentra verso l’area avversaria e da fuori della stessa, fa partire un pallonetto dei suoi che lascia tutti di stucco, il portiere neroazzurro può solo che guardare la palla accomodarsi dolcemente in rete. Clamoroso, mamma mia, solo un pazzo può pensare di segnare in quel modo e lui, oltre ad essere pazzo, era pure forte.
Tanti altri record personali, è stato il calciatore ad aver realizzato più gol con lo stesso club, 250 con la Roma (ovviamente), quello che ha realizzato più calci di rigore e doppiette nel campionato italiano. Nella squadra giallorossa è quello che ha collezionato più presenze (786) e più gol (307), e soprattutto è quel calciatore, insieme a Paolo Maldini, ad aver il maggior numero di stagioni consecutive con la stessa maglia in serie A (25). Venticinque è una vita ragazzi. Con la Roma ha battuto ogni sorta di record, ma era inevitabile. Un ragazzo d’oro, simpaticissimo, romano e romanista per eccellenza. Sapeva unire il gruppo come nessuno, era un caro amico, un avversario stimolante per tutti. Una carriera, dove se pur a livello di club non abbia vinto come avrebbe meritato, costellata da grandi traguardi e riconoscimenti. Per tanti anni ha trascinato da solo la sua Roma in ottimi piazzamenti, meritandosi più volte il palcoscenico della Champions League dove è tutt’ora, con il gol segnato nella seconda giornata della fase a gironi della Champions League contro il Manchester City all’età di 38 anni e 3 giorni, il giocatore più anziano a segnare una rete nella competizione, superando il gallese Ryan Giggs. Con 11 gol in 40 partite è il miglior marcatore del derby della capitale, partita che sentiva come pochi, ma che dico, come nessuno mai. Per lui era la partita dell’anno, quella che non si poteva sbagliare, quella dove avrebbe sacrificato tutto pur di vincere; Roma-Lazio, guai a chi gliela tocca. Ma come in tutte le corse, anche quelle più belle e pazze, arriva il momento di tagliare il traguardo, di dire basta, di lasciare con una carezza l’affetto di chi ti ha amato per 28 lunghissimi anni tra giovanili e prima squadra. L’affetto di chi ti ha trattato con i guanti bianchi, di chi ti ha osannato, di chi è andato fiero di averti come capitano e che non ti avrebbe cambiato con nessuno altro numero 10 al mondo, nemmeno con Maradona, di lasciare in un angolo buio e nascosto i propri scarpini appesi a un chiodo. Fu così che il 28 maggio 2017 avvolto dall’abbraccio amorevole della famiglia, disputa giocando l’ultimo spezzone di partita all’Olimpico, nel suo stadio, a casa sua, contro il Genoa, l’ultima partita della sua straordinaria carriera da professionista. Lo ha fatto a modo suo, da campione quale è sempre stato nonostante mister Spalletti lo mette agli argini del progetto pur sapendo cosa ha rappresentato e cosa rappresenta Francesco per Roma e per la Roma. Ma purtroppo come si dice, “ad ognuno il proprio mestiere”, ragion per cui bisogna accettare e rispettare ogni scelta tattica e tecnica. A fine partita i suoi tifosi gli hanno reso il giusto e meritato omaggio, e lui con un microfono in mano ha dedicato parole d’amore ai suoi tifosi, con le lacrime agli occhi e il cuore in gola, ha cercato di esprimere tutto quello che si è portato dentro in tutti questi anni, cosa è stata la Roma e cosa sono stati i romanisti per lui. La sua famiglia al fianco, la maglia giallorossa cucita addosso, e quel pallone che non avrebbe calciato più sono tutto quello che lui ha amato e continuerà a fare, magari da dirigente, magari da procuratore. E’ difficile esprimere cosa lo sport sia in grado di poter trasmettere, Francesco Totti lo ha fatto in tutti questi anni, regalando gioia ed emozione a migliaia di tifosi e appassionati. Ha conciliato classe, amore, sacrificio e professionalità con un semplice pallone, che poi lui rendesse tutto semplice è un altro discorso. Grazie Francè, daje.